Direttiva europea sui rifiuti: Ue avanti ma a piccoli passi

Direttiva europea sui rifiuti: Ue avanti ma a piccoli passi

Nuovi passi in avanti verso l’approvazione definitiva del Pacchetto europeo di misure sull’economia circolare, dopo che nei giorni scorsi la Commissione Envi del Parlamento Europeo – commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare – ha approvato il dossier contenente le nuove direttive su rifiuti.

Un percorso iniziato due anni fa e che puntava ad aggiornare quattro direttive sui rifiuti e a dotare l’Unione Europea di un quadro organico di riferimento per le politiche di riciclaggio e uso efficiente delle risorse.

Proprio due anni fa la Commissione aveva approvato i primi documenti del Pacchetto, successivamente migliorati e integrati dal Parlamento Europeo, relatore la parlamentare italiana Simona Bonafè. 18 mesi fa poi si è aperto il “negoziato” fra Parlamento e Consiglio Europeo (gli stati membri), che ha prodotto a fine dicembre una bozza di accordo di massima, confermato di fatto dalla scelta della Commissione Envi.

Gli argomenti oggetto della discussione sono stati i nuovi obiettivi di riciclo di rifiuti urbani e imballaggi e i limiti ai conferimenti in discarica per i Paesi membri.

Il voto definitivo in Assemblea plenaria del Parlamento sul pacchetto è previsto invece per metà aprile, quando saranno passati poco più di due anni dalla presentazione delle proposte messe originariamente a punto dalla Commissione Europea (dicembre 2015).

Le nuove Direttive quindi saranno vigenti e i Paesi membri avranno 24 mesi per recepirle. Un percorso lungo e tortuoso, che fa comprendere l’assurdità dell’attuale governance Europea. I contenuti dei testi delle direttive sono molto cambiati nelle tre versioni.

La Commissione aveva definito target ragionevoli, che il Parlamento ha reso più stringenti e ambiziosi dal punto di vista ambientale. Il Consiglio infine ha decisamente ridimensionato le aspettative dei Paesi, come dimostra il confronto tra le varie proposte sul tavolo.

Insomma al tavolo degli Stati membri hanno prevalso la prudenza degli Stati mediterranei e dell’Est Europa, caratterizzati oggi da bassi tassi di riciclo, alti livelli di conferimento in discarica e scarsa disponibilità di risorse economiche e scarsa possibilità di alzare le tasse sui rifiuti.

Partiamo dai target di riciclo dei rifiuti urbani. Se nella versione del Parlamento si fissava infatti l’obiettivo al 70% entro il 2030, e nella proposta originaria della Commissione il target era 65% al 2030, l’accordo siglato oggi prevede invece un più prudente 65% al 2035.

Ridimensionati anche i target sugli imballaggi: il Parlamento chiedeva infatti l’80% entro il 2030, la Commissione proponeva il 75% al 2030, mentre l’accordo si ferma invece al 70%. Quanto alla riduzione dei conferimenti in discarica, i parlamentari chiedevano un tetto del 5% al 2030, mentre la versione proposta dalla Commissione Juncker fissava al 2030 un target massimo del 10%.

Il Consiglio ha scelto il 10% al 2035. Non ancora chiaro infine l’accordo sul delicato tema della “responsabilità estesa del produttore”. La Commissione chiedeva una standardizzazione dei criteri a livello europeo e una maggiore copertura dei costi delle raccolte differenziate da parte delle imprese produttrici di imballaggi.

I target riguardano la quota di raccolta differenziata su rifiuti urbani e da imballaggio e un obiettivo sempre per i rifiuti urbani collocati in discarica entro il 2035. L’accordo prevede anche una metodologia comune per calcolare i progressi compiuti, requisiti più severi per la raccolta differenziata, requisiti minimi per la responsabilità estesa del produttore. Si tratta di un regime che prevede un contribuito dei produttori alla raccolta di beni usati, lo smistamento e il loro trattamento per il riciclaggio.

L’accordo riguarda come detto quattro direttive waste: la direttiva europea quadro sui rifiuti (considerata l’atto legislativo quadro del pacchetto), quella sui rifiuti di imballaggio, quella sulle discariche e infine quella sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, sui veicoli fuori uso, le pile e gli accumulatori. L’accordo non include un Piano di azione per l’economia circolare.

Gli Stati in ritardo sulle varie tappe potranno contare su una flessibilità di cinque anni. Dal 2025 la responsabilità estesa del produttore, le misure per responsabilizzare i produttori sulla raccolta, lo smistamento e il trattamento per il riciclaggio di beni usati, sarà obbligatoria per tutti gli imballaggi.

Il Piano di azione invece prevede finanziamenti per oltre 650 milioni di euro provenienti da Orizzonte 2020 e per 5,5 miliardi di euro dai fondi strutturali; azioni per ridurre i rifiuti alimentari, compresa una metodologia comune di misurazione, una migliore indicazione della data di consumo, e strumenti per raggiungere l’obiettivo di sviluppo sostenibile globale di ridurre della metà i rifiuti alimentari entro il 2030.

Prevede inoltre lo sviluppo di norme di qualità per le materie prime secondarie al fine di aumentare la fiducia degli operatori nel mercato unico; misure nell’ambito del piano di lavoro 2015-2017 sulla progettazione ecocompatibile per promuovere la riparabilità, longevità e riciclabilità dei prodotti, oltre che l’efficienza energetica; la revisione del regolamento relativo ai concimi, per agevolare il riconoscimento dei concimi organici e di quelli ricavati dai rifiuti nel mercato unico e sostenere il ruolo dei bionutrienti.

E ancora una strategia per le materie plastiche nell’economia circolare, che affronta questioni legate a riciclabilità, biodegradabilità, presenza di sostanze pericolose nelle materie plastiche e, nell’ambito degli obiettivi di produzione.

Un accordo a 360 gradi quindi, ben lungi ancora dall’essere completamente rifinito ma che si propone di essere una locomotiva trainante per lo sviluppo economico dei Paesi europei, che dalla messa in atto delle nuove norme non hanno che da guadagnarci, dal punto di vista economico e ambientale.