La Responsabilità sociale delle imprese in Italia

La Responsabilità sociale delle imprese in Italia

Pubblicare le informazioni riguardo la strategia aziendale in fatto di sostenibilità può ridurre l’impatto ambientale in modo considerevole. Se ogni settore condividesse la filosofia eco-friendly, potremmo diminuire le emissioni di 10 miliardi di tonnellate entro il 2030. Inoltre diffondere i rapporti e le iniziative aziendali in tema ambientale ha costi irrisori rispetto ai benefici.

Purtroppo la situazione attuale è negativa: molte aziende pubblicano report oscuri o con dati non utili agli investitori, pubblici e privati. Negli Stati Uniti, ad esempio, il 76% delle aziende non ha condiviso nessun dato indicato nel modello di SASB. E il restante 24% ha fornito dati che non erano paragonabili con le metriche del loro settore. E in Italia?

In Italia la responsabilità sociale delle imprese è regolata dalla Direttiva UE 95/2014, norma europea che impegna le aziende a pubblicare le informazioni di carattere etico. Entrata in vigore il 1 gennaio 2017, prevede che le aziende con più di 500 dipendenti o quelle di interesse pubblico debbano comunicare informazioni relative alla sostenibilità ambientale. Riguarda 400 imprese italiane e, tra queste, emergono quelle della green economy, analizzate dal rapporto GreenItaly 2017.

A monitorare il rispetto delle nuove regole c’è il Rapporto di indagine sull’impegno sociale delle aziende curato dall’Osservatorio Socialis con Errepi Comunicazione. Il VII rapporto ha analizzato il 2016 e rilevato dati interessanti: l’80% delle aziende con 80/100 dipendenti ha dichiarato di impegnarsi in iniziative di responsabilità sociale d’impresa, per un investimento totale di 1 miliardo e 122 milioni di Euro nel 2015. Le imprese hanno investito per lo più in attività di sostenibilità e/o sicurezza ambientale (56%) e nel miglioramento delle condizioni lavorative e/o benessere dei dipendenti (53%). La maggior parte delle aziende si è impegnata nella CSR attraverso il miglioramento del risparmio energetico e la correzione di processi e/o prodotti aziendali (rispettivamente 44% e 40%). Inoltre il 78% delle imprese dichiarava di conoscere la Direttiva UE, entrata in vigore lo scorso anno. Attendiamo i dati del 2017 per fare un’ulteriore analisi.

Un metodo è la certificazione ambientale. Attraverso l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), l’azienda può valutare e migliorare la propria efficienza ecologica. È un processo ideale per le piccole e medie imprese. Tra le certificazioni ambientali, quella più conosciuta è EMAS che funziona attraverso ISO 14001, standard internazionale per il miglioramento ambientale. Con il marchio Ecolabel UE, invece, si riconoscono prodotti e servizi di qualità ecologica. Ma esistono anche altre certificazioni ambientali, come FSC, specifica per prodotti derivanti dalle foreste.

Inoltre le aziende possono anche sostenere organizzazioni non governative che si occupano di sostenibilità. Dalla deforestazione al risparmio energetico, ogni azienda può difendere l’ambiente nell’ambito più coerente con i propri valori.

Insomma, il futuro deve essere sostenibile anche per le imprese. I consumatori sono sempre più consapevoli del cambiamento climatico e scelgono prodotti con il minor impatto ambientale. Essere green non si limita al tempo libero ma è uno stile di vita indispensabile per avere un futuro migliore, per tutti.