L’economia circolare è legge per l’Europa. E per l’Italia?

L’economia circolare è legge per l’Europa. E per l’Italia?

Ci sono voluti più di tre anni di lavoro, ma alla fine mercoledì 18 aprile il pacchetto legislativo composto di quattro atti sull’economia circolare è stato adottato in via definitiva a Strasburgo dal Parlamento europeo in seduta plenaria. Il testo ora tornerà al Consiglio europeo per un’approvazione formale e dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea darà ai suoi 27 membri 24 mesi di tempo per preparare il recepimento. Con questo pacchetto l’Europa punta con decisione a uno sviluppo economico e sociale decisamente più sostenibile, in grado di integrare le politiche industriali e la tutela ambientale grazie ad un insieme di nuove norme che non porteranno “solamente” ad una rivoluzionaria politica nella gestione dei rifiuti, ma caratterizzeranno una profonda innovazione del sistema produttivo, del modo di recuperare le materie prime e di tutelare le finite risorse del nostro Pianeta. Solo adesso, che i rifiuti diventano per legge una risorsa da utilizzare e non più solo un problema da eliminare, possiamo dire che l’economia circolare è diventa, almeno sulla carta, una delle priorità dell’Unione che è riuscita per la prima volta ad imporre un quadro legislativo unico, condiviso e atteso dal 2015. 

Con questa nuova e articolata norma la quota di rifiuti urbani domestici e commerciali da riciclare passerà per legge dall’attuale 44% al 55% nel 2025, al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035, mentre il 65% dei materiali di imballaggio dovrà essere riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030. La proposta di legge limita la quota di rifiuti urbani da smaltire in discarica a un massimo del 10% entro il 2035, una soglia non impossibile visto che già nel 2014, Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svezia non hanno inviato praticamente alcun rifiuto in discarica, a differenza di Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia e Malta che hanno interrato più di tre quarti dei loro rifiuti urbani. Il pacchetto stabilisce inoltre degli obiettivi rigorosi utili per incentivare l’uso di materiali facilmente riciclabili per gli imballaggi leggeri e i contenitori alimentari, come carta e cartone, vetro metallo e legno, mentre  i prodotti tessili e i rifiuti pericolosi provenienti dai nuclei domestici (come vernici, pesticidi, oli e solventi)  dovranno essere raccolti separatamente entro il 2025, così come tutti i rifiuti biodegradabili che potranno essere riciclati direttamente in casa attraverso il compostaggio. Inoltre, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, gli Stati membri dovrebbero ridurre gli sprechi alimentari del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030 agevolando la raccolta dei prodotti invenduti e la loro ridistribuzione in condizioni di sicurezza.

“L’innalzamento dei target di riciclaggio dei rifiuti urbani e da imballaggio, l’inserimento di un limite di conferimento massimo in discarica, l’estensione degli obblighi di raccolta separata ai rifiuti organici, tessili e domestici pericolosi sono le principali novità di questo pacchetto che sancisce un cambio di passo e di visione che avrà ricadute concrete”, come per esempio “i 600 miliardi di risparmi annui per le aziende, i 617 milioni di tonnellate di Co2 in meno disperse nell’ambiente entro il 2035, e le bollette sui rifiuti più leggere per tutti”ha spiegato la relatrice della legge, l’italiana Simona Bonafè. Questo significa ridurre anche la pressione sul nostro Pianeta per l’utilizzo delle materie prime, passando da un modello economico lineare a un modello circolare in cui la crescita diventa più sostenibile, ma non solo. Per la Bonafè è possibile quantificare l’impatto della nuova normativa anche sull’occupazione: “Ci sono diversi studi che girano: lo studio della Ellen MacArthur Foundation, l’impact assestment della Commissione e il dossier del Parlamento. Sono studi molto simili, che danno range diversi. Se dovessi guardare nel mezzo direi che sono previsti fino a 500 mila posti di lavoro in più, anche se la Commissione ne prevede un milione. Sono posti di lavoro specializzati. Economia circolare significa investire in innovazione e tecnologie. Sono professioni della nuova economia”. Sulla crescita del Pil, invece ci sono dati, in particolare quelli del Parlamento, che addirittura dicono che si possa arriva al 7% in più entro il 2035. “A me questo dato sembra ottimistico, ma il 5% credo sia un target raggiungibile” ha concluso la Bonafè.

Ora tocca al nuovo Parlamento e al futuro Governo impegnarsi per recepire presto e bene anche nella legislazione del Belpaese le nuove direttive, superando l’obiettivo tutto italiano di innalzare solo la raccolta differenziata anziché il riciclo, confondendo così un mezzo col fine da raggiungere, cioè ridurre il residuo indifferenziato. Nel 2016, infatti, l’Italia smaltiva ancora in discarica 26,9 milioni di tonnellate di rifiuti, circa 123 chili pro capite che corrispondono al 27,64% della quota di rifiuti prodotti. Per Andrea Fluttero, di Fise Unicircular, che rappresenta le “fabbriche dell’economia circolare” che lavorano per valorizzare e reintrodurre nei cicli produttivi materiali che derivano dalla trasformazione dei rifiuti, queste realtà “sono pronte ad un confronto concreto e costruttivo con i legislatori, con l’obiettivo di cogliere i frutti ambientali, economici ed occupazionali di una transizione verso un modello di economia circolare”. Come? Secondo Legambiente, l’Italia può posizionarsi ai primi posti nell’Europa dell’economia circolare perché può già avvalersi “di tante esperienze di successo praticate da Comuni, società pubbliche e imprese private, che fanno della penisola la culla della nascente economia circolare europea”, ma dovrà, in ogni caso, rivedere nei modi e nei tempi giusti la propria legislazione se non vorrà incorrere in altre sanzioni in materia di rifiuti da parte dell’Europa.

Secondo il modello appena preparato da Was, uno dei think tank nazionali di riferimento in fatto di gestione rifiuti che ogni anno produce un Annual Report sul settore curato dalla società di consulenza economico-ambientale Althesyssono cinque le principali azioni da mettere in campo, da qui ai prossimi tre anni dall’Italia, per recepire al meglio la legislazione europea in materia di economia circolare. Occorre passare dalla tassa alla tariffa, introducendo un criterio di equità che premia coloro che gestiscono in modo corretto le risorse riducendo gli sprechi e scoraggiando i comportamenti non virtuosi; favorire i processi di aggregazione ed integrazione delle aziende addette alla raccolta e al riciclo lavorando sulla filiera con efficacia ed efficienza; definire un Piano impiantistico nazionale, riequilibrando la situazione oggi sbilanciata tra Nord, quasi ottimale nel numero di impianti,  e il Sud  che sconta una cronica carenza; promuovere una raccolta differenziata di qualità che faciliti il riuso; e infine realizzare un Piano di comunicazione nazionale per sensibilizzare i cittadini sui benefici concreti di una corretta raccolta, al di là degli aspetti etici, sempre e comunque essenziali per ricordarci che anche dal riciclo nascono rifiuti (a questo punto rifiuti speciali), che sarà necessario limitare ancor prima che saper gestire e smaltire!

(Unimondo.org)